Di chi è la colpa?
Laetare. Rallegrati!, dice oggi
la Madre Chiesa ai suoi figli. Il bilancio dei morti nella nostra città a ieri
era di 281. Oggi altri 31. Tra essi gli amici ed i fratelli di cammino e nella
fede. Altri sono intubati o estubati di fresco. Altri ancora febbricitanti, in
angoscia, barricati in casa. Eppure, rallégrati! E di che?, ci si chiede.
Da
più parti iniziano a spuntare domande. Di chi è la colpa? L’America ha infettato
la Cina, i laboratori di Whuan hanno infettato il mondo, i politici hanno dormito,
i cinesi mangiano i pipistrelli. Forse si preparano i tempi di una nuova
Norimberga. “Rabbi, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli
nascesse cieco?”, chiedono i discepoli al Maestro (è il Vangelo di oggi, Gv.
9, 2). L’uomo non sa ragionare che secondo un principio di causalità. Ogni
evento ha (deve avere!) una origine, una causa, una spiegazione. Coglierla e
comprenderla è l’esercizio della signoria dell’uomo sulla natura. Il suo potere.
In qualche modo la conferma che la ragione e la scienza possono tutto e l’uomo
è quindi veramente il dio unico di un universo antropocentrico dove non c’è
spazio per altri dei che non gli siano sottomessi.
“Né
lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le
opere di Dio”,
risponde Gesù ai suoi che lo interrogano.
Dopo
Il muro, in queste settimane mi sono cimentato nella lettura de La
nausea, di Jean Paul Sartre. La lampada frontale indossata ed accesa. Inforcati
gli occhiali da lettura da 2,0, raggomitolato nell’angolo buio rimasto libero
sui divani di famiglia. Da lì posso raggiungere con gli occhi i trentotto pollici
di schermo della tivù accadì, sia pure a prezzo di torcicolli dolori
intercostali e giramenti di testa. Dopo cena, la sera tardi, dopo lunghe
giornate di lavoro, la testa spesso ciondolante e con continui risvegli nella
affannosa ricerca dell’ultima riga letta, il libro che spesso mi scuote dal torpore
cadendomi dalle mani sulle gambe. Due televisioni che vanno, talora con i tappi nelle orecchie, spesso senza capire nulla di quello che leggo,
mentre il racconto si sciorina nella descrizione di fatti luoghi eventi a me
perfettamente sconosciuti. Ma ho tenuto duro perché sapevo che prima o poi
saremmo arrivati al punto. Che inevitabilmente arriva, esplicito ed implacabile,
ineludibile, a pagina 152. Fino a quel momento l’Autore aveva girato attorno
alla questione fondamentale, sulla quale si contorce ed arrovella, come ne Il
muro. Si era limitato a descriverne i sintomi e gli effetti nel dramma
umano da esso causato. E poi era arrivato al terribile dunque: <Penso>,
dice il protagonista Antoine Roquentin all’Autodidatta, <che siamo tutti
qui a bere e a mangiare per conservare la nostra preziosa esistenza, e che non
c’è niente, niente, nessuna ragione di esistere>. E Luciano, nella Infanzia
di un capo, ad un certo punto dice: <Mi domando perché esisto?>.
Mi
sono detto che potrei approfittare di questi giorni di coprifuoco per mettere
ordine nella mia modesta biblioteca e fare, prima di tutto, un catalogo. Ogni
tanto mi viene in mente un titolo e un libro che vorrei compulsare e lì
comincia uno sbattimento e una lotta inane ed immane con gli scaffali dove l’occhio
percorre e ripercorre i dorsi senza discernerne i caratteri di titoli ed autori
perché non ho preso gli occhiali e comunque anche dopo non lo trovo non lo
trovo e non c’è niente da fare. Non farò adesso lo stesso errore. Ma c’è un
libro se non sbaglio di Pier Paolo Donati, che ho qui da qualche parte, che si
intitola La matrice teologica della società, che dice probabilmente tutt’altre
cose, ma che a me, il titolo da solo, vale da solo il libro e mi suggerisce proprio
questo: il principio di causalità non dà alcuna ragione della esistenza. Ne La
nausea l’Autodidatta risponde a Roquentin: <La vita ha un senso, se
ci sforza di dargliene uno>. Ci può bastare?
Il
coronavirus, la tragedia di questi giorni, è come la nube che conduceva Israele
nel deserto:
“L'angelo di Dio, che precedeva l'accampamento d'Israele,
cambiò posto e passò indietro. Anche la colonna di nube si mosse e dal davanti
passò indietro. Venne così a trovarsi tra l'accampamento degli
Egiziani e quello d'Israele. Ora la nube era tenebrosa per gli uni, mentre per
gli altri illuminava la notte; così gli uni non poterono avvicinarsi agli altri
durante tutta la notte! (Es. 14, 19 – 20). E’ come il sangue dell’agnello
sullo stipite della porta delle case ebree in Egitto, la notte della
liberazione dalla schiavitù dell’Egitto. Il mistero del dolore è notte,
oscurità fitta per il mondo. E’ invece luce per Israele. Il mondo vi vede la
morte, il non senso, e per esorcizzarlo cerca disperatamente le colpe. Poterle
attribuire a qualcosa o a qualcuno sazia il bisogno di senso della ragione, riporta
tutto ad una dimensione materiale e terrestre delle cose, esorcizza il terrore,
come i roghi delle streghe tra il XV ed il XVII secolo d’Europa. Ma il problema
della malattia e della morte rimane. La fede vede invece nel dolore e nella morte,
sorella morte per San Francesco, il segnale chiaro che rimanda il cuore e la
mente alla vera patria del Cielo, che ci attende. La consapevolezza della realtà
della morte, illuminata dalla esperienza di Dio, della Risurrezione di
Cristo e dalla assistenza dello Spirito Santo, difende la nostra anima e le
nostra mente dalla insidiosa penetrazione dal faraone, dal Maligno, e conduce
al senso vero e gioioso della vita.
Prima
del principio, non si può parlare di un prima, perché il tempo non era. Ma
fuori dal tempo Dio esiste immutabile completo e sazio della corrente di amore
tra le sue persone. Ne parlo con categorie temporali perché non posso farne a
meno, ma tutto questo che racconto si svolge in una assoluta contemporaneità,
nell’istante infinito della eternità immutabile di Dio. Teologia spiccia,
dunque.
In
questo suo essere infinito e immutabile Dio ha concepito una espansione infinita
del suo essere eterno in una creazione che non fosse solo spirituale, ma anche
materia. A quel punto le Tre persone divine hanno visto tutta la storia umana
dispiegarsi al presente davanti ai loro occhi. Hanno visto il tradimento di Adamo
e di Eva, il rifiuto umano di Dio, del bene, la ribellione di Lucifero e delle
sue legioni maledette. Hanno contemplato i fumi densi delle esplosioni
atomiche, i movimenti apocalittici delle schiere militari, le maschere
scheletriche dei campi di concentramento nazisti, le atrocità delle epidemie, delle
torture, dei genocidi, dei terremoti, dei maremoti, delle frane, dei milioni di
vittime. Hanno visto la malizia e le furberie umane, gli inganni, i vignaioli
che con la frode ed il tradimento si impadronivano della vigna, del creato, che
torturavano ed uccidevano i profeti, e oso pensare che nello stesso infinito e al tempo stesso infinitesimo tempo si siano chiesti se valesse davvero la pena realizzare un progetto così apparentemente
assurdo, e come fare perché il male non avesse l’ultima parola. Poteva il Male
vincere Dio? Dio è amore e nel suo amore traboccante non poteva permetterlo, perché
ciò era incompatibile con la sua natura divina, con la sua tenerezza di Padre,
con la sua sollecitudine infinita per l’opera delle sue mani. La Vita eterna vale
molto di più di ogni sofferenza. E così, pensando come poteva essere anche
fisicamente l’uomo, nella eterna dimensione del pensiero divino è apparso l’uomo
nuovo, il nuovo Adamo, il Figlio sposo della creatura, della carne, il Figlio
Incarnato e la Sua Madre Immacolata. Dopo il peccato di Adamo, il bene non era
più automatico per l’uomo, ma andava prima conosciuto, e poi deliberatamente
accettato e scelto. Questa è una esigenza intrinseca ed ineliminabile del Bene
e della libertà che è espressione dell’Amore e della infinità bontà divina. Dio
è stato costretto dalla sua stessa natura ad accettare, a non resistere al male,
e lo ha fatto prendendolo su di sé, prendendo, nel Figlio, una carne, la nostra
carne. Nel Figlio ha così ideato il modello perfetto di uomo, l’archetipo della
creatura umana, sulla falsariga della quale Adamo è stato creato. E il Figlio da
prima che il mondo e l’universo fossero è stato perfettamente consonante alla
volontà del Padre. Questo sarebbe stato dopo la creazione il mistero nascosto
nei secoli. E poiché non c’è nulla in Dio che non si realizzi istantaneamente
al solo pensiero, il suo Verbo, il Λόγοσ, mentre tutti questi pensieri
accadevano nella mente di Dio la materia prendeva contemporaneamente forma dal
nulla, la luce era creata e si separava dalle tenebre, i mari e gli oceani separati
dalle acque che sono sopra i cieli, e l’universo tutto prendeva forma e, con il
suo mutare ed evolversi, dava inizio al tempo e alla storia.
“Venne
dunque Gesù e trovò Lazzaro che era già da quattro giorni nel sepolcro … Marta
disse a Gesù: <Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe
morto …!>. Gesù le disse: <Io sono la risurrezione e la vita; chi crede
in me, ance se muore vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi
tu questo?>”
(Gv. 11, 17 – 26).
E’
la Parola uscita a caso durante la preghiera delle lodi di questa mattina. Forse
non sapremo mai se a scatenare il coronavirus siano stati gli americani, i
cinesi o i pipistrelli. La matrice della società è teologica. Per come lo
capisco io, vuol dire che ogni uomo è di fronte alla domanda fondamentale del
senso della vita, che non trova risposta in nulla che abbia con la vita un
nesso causale, fosse anche la colpa o la responsabilità di qualcuno. La vita e l’esistenza sono quanto di più irrazionale esista al
mondo. Per questo ogni tentativo di risposta non può che avere una radice ed
una matrice profondamente religiosa e, appunto, teologica.
Che
l’uomo cerchi pure la verità e le responsabilità del contagio e della pandemia,
questo, per quanto buono e dovuto, non colmerà il suo vuoto esistenziale.
La verità viene da Cristo, tramite la Chiesa. Ed è la
vittoria della Vita sulla morte, del senso sul non senso, dell’Amore sul non
amore, del Bene sul Male. Anche in tempi di coronavirus. Lo sperimenta chi vive
nella Chiesa dei doni dello Spirito, che ancora oggi li ha riversati su di noi
a pioggia. Niente ci potrà separare dall’Amore di Dio, manifestato in suo
Figlio Gesù Cristo. Rallegrati, quindi, viene la Pasqua! Dio non ci deluderà.