Il deserto



Non so perché in questo tempo Pasquale sento il petto ed il cuore così pieni di fioriture e di vita. È una cosa paradossale e che non si giustifica con il carattere del tempo che stiamo vivendo. Quella della pandemia è una esperienza che semmai può innescare meccanismi psicologici depressivi, per cui non si capisce come sia possibile che invece il cuore gioisca e produca così tanta vita e fiducia nel presente e nel futuro.  
Possiamo dire, anche questo in modo paradossale, che nel tempo di Pasqua stiamo vivendo il deserto, immagine propria del tempo quaresimale. Il deserto in questi giorni si concretizza nella solitudine o, comunque, nell’isolamento dentro il perimetro dei muri di casa, al massimo dei giardini delle abitazioni, o del preciso e limitato percorso che ci separa dal luogo di lavoro, semmai vi possiamo accedere. Il deserto si concretizza nella difficoltà di ideare un futuro credibile, di trovare il tipo e la misura delle forze adeguate per farvi fronte, la progettualità è fortemente compromessa dall’incertezza. Eppure su questa figura del deserto occorre un supplemento di riflessione. Che cos'è, infatti, il deserto? Io credo che il deserto si faccia presente in questi giorni in varie modalità. Eccole. 
Il deserto delle passioni. Il deserto di presenta innanzitutto con il progressivo dissolversi delle passioni, e delle emozioni che esse portano inevitabilmente con sé. Ma che cosa sono le emozioni, da dove nascono, perché ci condizionano? Ne ha scritto il neuroscienziato portoghese Antonio Damasio. Potendo parlare in libertà in questo spazio che nessuno frequenta, io penso che la psiche sia la catena di collegamento tra l'anima e il corpo animale, il soma. Traduce in esperienza, in sensazioni corporee, fisiche il senso dei fatti e della esperienza colto dell'anima intellettiva, come la chiamava San Tommaso. Al giorno d'oggi le persone, in molti casi scartata e messa da parte la dimensione soprannaturale dell'esistenza ed ogni prospettiva che vi è connessa in ordine al rapporto con un Dio creatore, nelle passioni sperimentano concretamente il fatto di essere vivi, di potersi interessare a qualcosa di importante ed avvincente, che dia un senso alle proprie giornate e, più in generale, alla vita. Le passioni possono essere le più varie, l'amore, la tristezza, la gioia, la frustrazione, la rabbia, l'affetto amicale, anche se il termine a quest’ultimo proposito è forse improprio. Le passioni sono collegate alla dimensione relazionale dell'esistenza. Sotto questo profilo, una vita isolata, l’allontanamento obbligato dagli altri e dalla natura stessa, dalle piazze, dal mare, dalle montagne, dalle campagne, dalla possibilità di ritrovarsi, di stare insieme, un po’ per volta attutiscono gli stimoli delle passioni, lasciando il campo a una quotidianità piatta, sempre uguale, che per l'appunto assomiglia ai panorami desertici africani o, meglio, mediorientali, di cui abbiamo conoscenza visiva e, forse, anche esperienza. Io ho in mente i deserti della Giudea e del Negev, in Terra Santa. Il deserto assomiglia al grigio neutro della scala RGB di colore, per chi è pratico di grafica e di fotoritocco. In questa scala tutti i colori si traducono in sequenze numeriche combinate che vanno per ciascun canale, R come red, G come green, B come blue, da 1 a 255. Nel grigio medio, questi valori sono pari a 125 per ciascun canale di colore. Chi ha approfondito la materia sa che questo tipo di grigio rappresenta il punto di equilibrio cromatico, quello che sostiene e sintetizza l'armonia che sta nelle variazioni dei colori che vengono, per così dire, colti e rappresentati automaticamente, in un processo inconsapevole, nella retina. L'occhio infatti cerca sempre l’equilibrio cromatico e, in particolare, quell’equilibrio sintetizzato nel grigio medio di cui ho detto. Se, nella realtà, il colore complementare, quello che serve ad attivare nell'occhio la percezione dell’equilibrio cromatico, manca, e l’equilibrio, non c'è, in qualche modo il cervello, se ho capito bene, lo realizza creando il colore mancante, con una finzione, o illusione, che il cervello ha necessità di attivare. Strano, eh? Allora mi viene da dire che il deserto è, in un certo senso, quel grigio che chiamerò 125, di cui ho appena parlato, mentre i colori sono le emozioni e le passioni. A un certo punto, nel coprifuoco pandemico, la realtà scolorisce, non fornisce più la giustificazione né lo stimolo e lo spunto delle passioni forti di cui molti hanno bisogno per sentirsi vivi e, magari, buoni, capiti, riconosciuti, amati. In una dimensione neutra, come quella che oggi siamo chiamati a vivere, non resta invece che il grigio 125, il deserto, per l'appunto, che ci guarda, ci interroga. Nel silenzio. Il silenzio ha un grande valore terapeutico per la psiche. Nel silenzio si sentono suoni e finanche vagiti e mormorii prima sommersi e soffocati nel clamore e nel chiasso delle nostre giornate. Nel silenzio l'anima può tornare in sé e rifiorire, talora percepire il suono della voce di Dio. Quindi noi stiamo vivendo questo deserto, che è prima di tutto deserto relazionale, deserto progettuale, deserto delle passioni, nel quale la ricerca delle ragioni per vivere diventa più impegnativa e talora pressante. Può così accadere di assistere ad una fioritura rigogliosa. Nel deserto si può accendere una vividezza cromatica senza precedenti. Il senso profondo di armonia universale, per cui gli astri e i sistemi solari negli abissi dello spazio con i tempi del giorno e della notte da essi scanditi da milioni di secoli rispondono ad un’unica legge che ne regola i movimenti e le reazioni. Quello stesso benefico equilibrio che l’occhio, la mente e l’anima colgono nelle fiamme rosseggianti dei grandi tramonti sulle distese oceaniche o sulle catene montuose dalle cime innevate. Metaforicamente, il grigio 125, cioè il deserto, è, per così dire, il segreto, l'anima nascosta della bellezza dell'universo. Il nostro occhio spirituale lo cerca incessantemente nella realtà, nella esperienza, nella nostra storia. Riuscirà questa volta a trovarlo? L'occasione pare favorevole. 
Il deserto temporale. Il deserto è il presente. Il tempo presente. Non il passato, né il futuro. Nell’ incipit del suo Diario Santa Faustina Kowalska parla del presente. 

“Se guardo verso il futuro, m’investe la paura. 
Ma perché inoltrarsi nel futuro? 
Mi è cara soltanto l’ora presente, 
Perché il futuro forse non albergherà nella mia anima. 
Il tempo passato non è in mio potere 
Per cambiare, correggere od aggiungere qualche cosa. 
Né i sapienti, né i profeti han potuto far questo. 
Affidiamo pertanto a Dio ciò che appartiene al passato. 
O momento presente, tu mi appartieni completamente. 
Desidero utilizzarti per quanto è in mio potere, 
E nonostante io sia piccola e debole, 
Mi dai la grazia della tua onnipotenza” 
( Diario, I Quaderno, 2 ) 

Il presente è l'unico tempo che ci appartiene, l'unico tempo da un certo punto di vista reale. Come già scriveva, se non ricordo male, Sant’Agostino nelle Confessioni, il passato ed il futuro esistono solo nella mente, nel cervello. Nella situazione che oggi stiamo vivendo, il passato è quasi un sogno. Pensare di aver potuto realmente muoversi, raggiungere fisicamente le spiagge, il mare, percorrere i sentieri alpini, solo prendere la bicicletta per fare un'escursione sulle colline del nostro Appennino, tutto questo appare oggi surreale, come un sogno. La bellezza della natura è struggente nel ricordo, pare impossibile che le cose continuino ad esistere. Contro il tentativo della mente di fuggire per rifugiarsi nel passato, o proiettarsi nel futuro, la marea del presente sale e le sue onde mormorano ai nostri piedi sulla battigia dell'infinito sul quale siamo nostro malgrado alla fine affacciati e protesi, in investigativa attesa. Il pensiero di ciò che è stato e di ciò che sarà, o potrà essere, in questi giorni pare affievolirsi grandemente e capitolare di fronte all'evidenza di un presente piatto, solitario, per certi aspetti grigio, deprivato, se non di tutto, di molte delle bellezze e dei piaceri della vita. Il deserto viene quindi a coincidere con il presente nel quale siamo in qualche modo spinti e costretti a vivere, circondati come siamo da un nemico visibile che ci preclude ogni fuga della mente in ciò che è stato o in ciò che sarà. Nel presente opera Dio. Dio agisce nell’oggi, ora, in questo momento. La coscienza si chiama così proprio perché esprime una situazione di consapevolezza che per definizione non può esistere che con riferimento al momento attuale. Anche in questo modo il deserto si fa presente in questo tempo Pasquale nel quale, dopo la liberazione del popolo dall'Egitto, è iniziato il lungo cammino nel quale Mosè , per conto di Dio, ha condotto nel deserto il popolo eletto, con tutto quello che sappiamo. Mormorazioni, morsi velenosi dei serpenti, morti, ribellioni, miracoli, la croce della sobrietà della manna dell’acqua scarsa che ha fatto a molti rimpiangere l'Egitto. Nel nostro caso, il mondo mondano da cui veniamo. Eppure il deserto è stato per Israele un'esperienza fondamentale, che lo ha purificato dalle scorie di un mondo lontano da Dio nel quale viveva da schiavo. Il silenzio nel tempo presente ed il radicamento in essi sono la premessa di un cammino certamente duro ma che porta alla terra promessa, che conduce a Dio, che è impregnato di speranza e di un senso suo proprio che lo rende vivo pieno e pregnante di significato, e non vacuo e vuoto come appare a chi, nonostante tutto, vorrebbe continuare a vivere alienandosi.  
Il deserto escatologico. Il presente di cui parla Santa Faustina mi sembra sotteso ai moniti dell’evangelista Matteo, al capitolo 24, versett1 15 – 28, del suo Vangelo: 

15Quando dunque vedrete presente nel luogo santo l'abominio della devastazione, di cui parlò il profeta Daniele - chi legge, comprenda -, 16allora quelli che sono in Giudea fuggano sui monti, 17chi si trova sulla terrazza non scenda a prendere le cose di casa sua, 18e chi si trova nel campo non torni indietro a prendere il suo mantello. 19In quei giorni guai alle donne incinte e a quelle che allattano! 20Pregate che la vostra fuga non accada d'inverno o di sabato. 21Poiché vi sarà allora una tribolazione grande, quale non vi è mai stata dall'inizio del mondo fino ad ora, né mai più vi sarà. 22E se quei giorni non fossero abbreviati, nessuno si salverebbe; ma, grazie agli eletti, quei giorni saranno abbreviati. 23Allora, se qualcuno vi dirà: «Ecco, il Cristo è qui», oppure: «È là», non credeteci; 24perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi segni e miracoli, così da ingannare, se possibile, anche gli eletti. 25Ecco, io ve l'ho predetto. 26Se dunque vi diranno: «Ecco, è nel deserto», non andateci; «Ecco, è in casa», non credeteci. 27Infatti, come la folgore viene da oriente e brilla fino a occidente, così sarà la venuta del Figlio dell'uomo. 28Dovunque sia il cadavere, lì si raduneranno gli avvoltoi 

La pandemia mi aiuta a fare in qualche modo luce su queste parole, che ho sempre fatto molta fatica a capire ed attualizzare. Mi pare che nello scorcio di apocalisse che stiamo vivendo, in questo assaggio, o prologo, degli ultimi tempi che incombono sul destino del mondo e dell’umanità nelle parole di Matteo vi sia l’invito a stare al proprio posto, a non fuggire, né a voltarsi indietro, come ha fatto la moglie di Lot in fuga da Sodoma. Per il viaggio che dobbiamo intraprendere non vi è ragione di raccogliere nulla, non vi è nulla che debba essere conservato che già non sia presente in noi e nel nostro cuore, come l'olio delle lampade delle lucerne delle vergini sagge della parabola. Porto con me tutto quello che ho, omnia mea mecum porto, diceva, secondo Cicerone, Biante di Priene, uno dei sette sapienti dell’antichità. Avverto in questi giorni il senso profondo e pressante di questo invito a vivere il presente, a vivere a saziarmi di questo deserto, del suo significato, della sua voce che mormora nel silenzio, evitando di cercare rifugio consolazione motivazione in ciò che è passato o in ciò che potrà avvenire. Io faccio nuove tutte le cose, dice Gesù (Ap. 21, 5). Lo dice nella Apocalisse di San Giovanni ma anche sotto la croce, nella sua dolorosa passione, come ci racconta la mistica Santa Anna Caterina Emmerick nelle sue visioni riprese da Mel Gibson nel suo film Passion. 
Tutte queste considerazioni fioriscono continuamente nel mio cuore e nella mia mente come una vegetazione lussureggiante, come un giardino irrigato da acque nascoste di cui mi chiedo dove sia la fonte, certamente nella mia follia strisciante. Lo sa solo Dio, Padre onnipotente ed infinitamente buono, che perdona e ci presenta nel suo Figlio e nella sua e nostra Madre la sua misericordia. Ce la comunica con indicibili effusioni dello Spirito Santo che ha il potere di penetrare ogni ambito, ogni sottile e più recondito e nascosto anfratto del nostro corpo e del nostro spirito. A lui la lode e la gloria nei secoli dei secoli. Amen. 

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