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Green, i conti non tornano

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Immagine tratta da: https://www.enelgreenpower.com/it/learning-hub/energie-rinnovabili/energia-eolica/parco-eolico   Quando ero bambino avevamo la stufa ed il carbone era stipato in cantina. Al bisogno occorreva scendere quattro rampe di scale (abitavamo al secondo piano) con il secchio di latta e riempirlo a colpi di badile. Poi, in casa, si apriva lo sportellino superiore della stufa e la si alimentava con un paletta che pescava nella massa di pezzi nerastri, leggeri e stridenti come il polistirolo. Il carbone aveva un suo fascino arcano. E il giorno della befana arrivava nella calza ad attestare che ero stato cattivo, ma era di zucchero. A raccontarle oggi, in tempi di decarbonizzazione, queste dei ricordi di infanzia paiono attività irresponsabili, quasi criminali, si direbbe. Il carbone oggi è sinonimo di CO2, di polveri sottili, di malattie alle vie aeree, di surriscaldamento globale, di cambiamento climatico, così da essere bandito come un appestato. Ciò non di meno molte delle

Il senso e la sua penetrazione

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Non so bene come, ma un bel giorno ascoltando su YouTube le musiche su pianoforte di Ludovico Einaudi mi sono imbattuto negli arrangiamenti delle stesse per chitarra di tal Vincent Charbonnier. Sono musiche di taglio minimalista. Al piano sotto le dita dell'autore le note stillano una per una con la trasparenza cristallina dell’acqua, quelle delle versioni per chitarra dello Charbonnier hanno la delicatezza dei petali. In questo mio vagare a un certo punto il canale mi ha proposto la versione per chitarra della Valse d’Amélie , sempre dello Charbonnier. Un giovane magro e sparuto e se vogliamo abbastanza inespressivo, t-shirt di tela grezza chiara, il mento coperto da radi peli di barba scura, che talora appresta una qualche regia ai suoi video con sfondi scuri e alle volte un candelabro a tre bracci con le candele accese in primo piano. L’arpeggio è intenso e delicato e degno del modello, come detto il musicista Einaudi. Ho poi trovato altre versioni per chitarra della stessa val

Tutto questo accadde

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Natasha quel giorno era parecchio nervosa, la destra tremante aveva sbavato la linea scura del mascara dozzinale dello Svetofor, mentre con la sinistra spingeva il mosaico verdastro chiaro delle pareti del bagno, opaco di strati di sudiciume mai rimosso negli anni, a cercare un difficile equilibrio. Quel mese la clinica l’aveva convocata d’urgenza e dopo i consueti preliminari le gambe divaricate sui poggioli della poltrona ginecologica medici distratti le avevano impiantato tre ovuli contemporaneamente. Ma la mensilità che il Governo aveva stabilito per le volontarie era sempre la stessa. L’impianto provocava a Natasha nausee e disturbi diffusi, l’incubazione doveva durare quelle poche settimane che consolidassero gli zigoti, poi questi venivano espiantati e inoculati nelle apposite culle bioniche dove avrebbero completato la gestazione. Natasha non conosceva i nomi dei committenti, europei italiani o francesi a quanto trapelato dalle voci di corsia. Sapeva solo che i ritmi delle incu

Il vero epilogo

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( Immagine ISTOCKPHOTO  Da viaggi.corriere.it  ) Siamo forse all’epilogo. Il virus ci lascia, i virologi in ambascia. Sembra che questo virus per un tempo abbia dato un senso al nostro vivere, al nostro stare, si fa per dire, insieme. Ed ora si allontana, fino a sparire alla vista, on the road , verrebbe di dire, come su una di quelle strade che come nastri solcano i deserti nelle praterie degli States , l’asfalto nero, sullo sfondo le alture dei canyons , bolle di nubi vaporose nell’incendio del tramonto. Per continuare a dare un senso alle nostre cose, per cercare di mantenere un equilibrio nello sconquasso mentale e fisico che la pandemia ha creato nelle persone e, a tutti i livelli, nella organizzazione sociale, non resta ora che la possibilità che il virus ritorni. Questa idea è divenuta il baricentro del nostro vivere, il nucleo portante dei programmi di governo, degli articoli dei giornali, dei telegiornali e dei programmi della televisione, dei discorsi e dei pensieri della gen

La carne e lo spirito

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Nella lettera ai Romani dell’ufficio delle letture di oggi, Solennità di Pentecoste, San Paolo scrive: “Fratelli, quelli che vivono secondo la carne, pensano alle cose della carne; quelli invece che vivono secondo lo spirito, alle cose dello spirito. Ma i desideri della carne portano alla morte, mentre i desideri dello spirito portano alla vita e alla pace. Infatti” , prosegue l'apostolo, “i desideri della carne sono in rivolta contro Dio perché non si sottomettono alla sua legge e neanche lo potrebbero. Quelli che vivono secondo la carne non possono piacere a Dio” . Ma perché, mi chiedo, i desideri della carne sono in rivolta contro Dio? Perché, come dice San Paolo, non si sottomettono alla legge divina, e neanche lo potrebbero? Che vuol dire che quandanche io volessi sottoporre la carne alla legge di Dio, non lo potrei fare. Strano, questo, veramente misterioso. Perché la carne è diventata così nemica dello spirito? Con il peccato originale è entrata nel mondo la concupiscenza.

Verso l'epilogo

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Scivoliamo lentamente verso la fine della emergenza. Il Covid torna nel suo covo, morti e contagi svaniscono pian piano verso il nulla, le vie e le piazze timidamente si ripopolano. Cinzia parla in tivù a sat duemila, in mezzo a cinque dei suoi sette figli. Il dolore rifà capolino. I vescovi proclamano l’affidamento dell’Italia al Cuore Immacolato di Maria e poi spacciano le registrazione, senza consacrazione, per la diretta da Caravaggio. Più che pastori sembrano politici. Che stomaco, che mestiere ci vuole per farsi gioco del popolo e della Madre di Dio! Che credibilità possono ormai avere questi uomini di chiesa? Già avevo cominciato a conoscere la vera pasta di qualcuno di loro, qualche mese fa. Come si concilia l’abitudine spregiudicata alle piccole (e grandi) menzogne con la purezza del cuore del cristiano? Che dire della indifferenza di questi vescovi per lo scandalo suscitato nel cuore del popolo, e dei piccoli? Pare, questa, una Chiesa dimessa e subalterna. Subalterna al

Santa Faustina e il campanile di Istrana

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Il Campanile di Istrana (da  http://rete.comuni-italiani.it/foto/2008/101614 ) Sono le 19, dopo una giornata passata tra computer, carta da pacco ad uso disegno a carboncino, whatsapp, photoshop, la Zuppa di Nicola Porro con lo sfondo dei pini marittimi dal terrazzo di casa sotto il bel cielo azzurro della primavera presumo romana, riesco finalmente a sedere sul balcone dell’appartamento in condominio che da quando c’è il coronavirus mi godo molto più di quanto non abbia mai fatto in precedenza. Direi anzi che con giornate tiepide ed assolate come questa ogni festa comandata portava con sé la frenesia a l’ansia di dove andare. Andare dove? Quanti giri a vuoto per destinazioni senza senso, Paola renitente per principio a muoversi. Andare, andare da qualche parte, alla ricerca di un senso del tempo cosiddetto libero, nel pur penso lodevole tentativo di impiegarlo al meglio. Quante mostre perse, Chagall a Milano, Mantova, Bologna, quanti mercatini, Gonzaga, il quartiere ticinese, i